2.
Silvyefantì la camminatrice ha appiccicata al paltò una cartolina d’addio, non l’ha mai spedita lungo tutti i suoi viaggi, raffigura un indiano d’America Algonquin che danza.
Bologna ha dimenticato quando si è incamminata. In questo frattempo teoretico Silvyefantì muore innumerevoli volte tra precipizi e fiumi in piena, nevi ghiacciate e fango rosso, e ogni volta che muore non riesce a mandare quella cartolina d’addio, quindi non oltrepassa mai la soglia fatale dell’aldilà e rimane dentro un arrivederci continuo. Così vi risorge passando ad altre vite che le si fondono addosso. E’ sempre sul lastrico Silvyefantì, ma diventa la donna che senza ossigeno scala il K2, la donna che a dorso di mulo solca l’altopiano etiopico, la donna che penetra per prima in bicicletta nella città di Lhasa, la donna che ama lucertole disegnate nel deserto di Nazca, e nella Colombia Pacifica diventa la donna Colorado che può correre nella selva per sette ore. Se c’è una storia che agonizza lei ci cammina dentro e la accompagna verso un’altra, e la strada è sempre diversa sotto stelle di alterna fortuna, e diviene chiaro: la ragazza che apre i cammini farà l’ultimo passo. Questo succede a Bologna sulla collina di Casaglia. Dietro la cartolina appiccicata al paltò c’è una frase per amici lontani: - Chissenefrega di cosa è successo adesso, è già passato-
Silvyefantì è entrata nella sua settima vita, e non si sa se la spedirà.
